Pallida ed
oramai silente
adagiata sopra la terra
sferzata dall’inverno
tu dormi il tuo sonno
e non c’è nulla a destarti
né il gelido bacio
offerto dalla neve pietosa
né la carezza del vento
che lacrima brina e fango
che piange pioggia iraconda.
Fiore reciso
alla radice
gettato via come un rifiuto
e non è servito a niente
il tuo desiderio impellente
di afferrare la tua vita
e non lasciarla fuggire
rubata senza alcuna pietà
dalla belva, dall’orco
figlio di un dio che è crudele
se ne giustifica l’esistenza.
Addio vittima
fragile
adesso il cuore fa male
nell’immaginare il dolore
della tua carne pugnalata
della tua mente adirata
che forse, ora, il tuo sangue
giovane e puro di bambina
germoglierà tra i campi
per rendere più tollerabile
lo strazio della tua morte.
N° 1781 - 2 marzo 2011
Il Custode
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