in questa orfana notte
io raccolgo le stelle
le poso sopra il sentiero
ma non importa
ovunque mi conducesse
non potrebbe mai essere
dove desidero arrivare.
Io ricordo
come lo avessi davanti
il tuo sguardo ferito
le mie mani a curarlo
ora cenere e lacrime
io le cospargo sul capo
quasi a chiedere scusa
per tutte le tue menzogne.
La pianura
distante
brulicava di suoni
e dentro il nostro silenzio
il vento pareva gridare
non era vero
erano i nostri respiri
che tentavano di plasmare
le parole migliori.
Quel tuo nome
fermo sulle mie labbra
presto perse la presa
e scivolò dentro il lago
sepolto dalle macerie
della tua terra incostante
là si smarrì il mio cuore
invocato dal tuo.
E diventasti
leggenda
e fantasia fu il tuo amore
che bisbigliarono i grilli
all’orecchio delle cicale
ero tentato di dirgli
che nulla fu mai reale
ma temevo di deluderli
o essere preso per pazzo.
La mia
salsedine
io torno a respirarla
e ne riempio degli otri
per quando sarò lontano
quando sarò da solo
nel nucleo della tempesta
poiché ti tesi le braccia
ma tu inseguivi i tuoi sogni.
C’è un sospiro
sdraiato sulle rotaie
intento a sentire vibrare
le pietre cosparse di polvere
eppure, da qualche parte
pare che cresca una viola
la gazza vorrebbe rubarla
ma non saprebbe che farne.
Io non ho
mentito
con il caffè sopra il palato
pensavo a ciò che dicevo
dicevo quello che pensavo
ma tu guardavi dovunque
tranne che nella mia direzione
sicché mi sentii sperduto
un corvo in mezzo alla neve.
Ho sulle mie
dita
il gusto della vaniglia
ho adoperato pioggia e sapone
ma non è ancora svanito
quel tuo incantesimo
che divenne un sortilegio
scritto su di un tozzo di pane
stretto tra le fauci del lupo.
In un altro
luogo
e non mi domando dove
tu componi i tuoi dolori
i tagli sopra i tuoi polsi
ed arriva l’aurora
si porta via il tuo viso
potrei ancora pensarlo
ma voglio soltanto tacere.
N° 2649 - 23 settembre 2013
Il Custode
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