sgambettate da un destino arcigno
vennero giù come castelli di sabbia
aggrediti da un fremito intenso
l’onda giunta a raccogliere i corpi
per trascinarli con sé alla deriva.
Io ero fermo
ad osservare le nuvole
nella calda primavera emiliana
intanto i grilli intonavano suoni
canzoni d’amore per le cicale
quando le spighe appassirono
sepolte sotto le zolle di terra.
Fu allora che
il cielo si arrese
si adagiò sul grembo della pianura
ignorando lacrime ed imprecazioni
che esprimevano le campanule
schiacciate sotto quel peso enorme
che non risparmiò nemmeno le api.
Dondolavano in
balìa del vento
i fili d’erba dentro le aiuole
ed era una danza quasi perfetta
che alcuni morirono per questo
ammaliati da quel ballo sublime
dimenticarono di sfuggire alla morte.
Infine la
polvere si sollevò
gonfiò i muscoli e coprì ogni cosa
gli uomini, le donne ed i gatti
sembrarono tornare d’argilla
e svanirono senza gemito alcuno
inghiottiti dal campanile ferito.
N° 2396 - 7 febbraio 2013
Il Custode
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