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martedì 10 dicembre 2013

CARTOLINA DALLA CAMBOGIA

Soltanto risaie immense ed umide
davanti ai miei occhi esausti
mentre lascio svanire alle mie spalle
l’umiliazione del campo di rieducazione
inondato dalla fatica e dalle mie lacrime
ogni qualvolta mi tornava alla mente
l’orrore degli eccidi a Phnom Penh
e la crudeltà delle deportazioni di massa.

Non leggevo alcun sentimento
negli sguardi vuoti dei khmer rossi
fanatici esecutori di un’utopia violenta
e della malsana dottrina di Pol Pot
con la quale vedevo scivolare la Cambogia
ad inseguire secoli già trascorsi
e le preghiere che rivolgevo al Buddha
non arrivavano mai a destinazione.

Ma seppur annichilito dalla disperazione
la rassegnazione non mi ha mai sconfitto
mentre percosso e denutrito
lavoravo alla raccolta del riso
e la germogliazione del mio sogno
di vedere risorgere dalle ceneri comuniste
il superbo ed orgoglioso regno di Angkor
e la libertà nell’intera Kampuchea.

E sono giunto alle pendici dei monti
dopo avere oltrepassato i templi buddisti
ed i cadaveri dei “corpi che scompaiono”
attraverso sentieri coltivati con le mine
fino al confine con la Thailandia amica
con il cuore oramai privo di gioia
e la mia apatia nel ritorno al futuro
che non mi permette di cancellare il passato.

  N° 1070 - 1 maggio 2008

                                                   Il Custode

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