Torno a casa
esco dal mio guscio
di noce e di alabastro
e cammino le acque
distanti tutta una vita.
Forse
cadrò verso il fondo
dove vedrò coralli
bellissimi ed inestimabili
o forse mi solleverà il vento
che mi condurrà in volo
e sarà davvero appagante.
Qua non vedo
nulla
sicché chiudo gli occhi
e riesco ad immaginare
nessun volto né alcun respiro
solamente voci ovattate
che sibilano nel buio profondo.
Provo a dar
loro un nome
quello che avevo riposto
in una stagnola bucata
e che ho perso per strada
durante il mio lungo viaggio.
Faccio
spallucce al passato
e con l’ago e con l’arcolaio
infine con il filo di nylon
rammendo le ferite scoperte
che si agitano sulla mia pelle
le stesse ferite osservate
dentro gli occhi e nell’anima
di chi mi guardava passare
rimproverandomi il mio silenzio.
E nel
rammarico intenso
io provo a sfuggire ai miei passi
calamitati verso le tenebre
ma come fossi in un vortice
gira la testa ed il paesaggio.
Adesso vorrei respirare
ma la polvere dentro il mio naso
è la stessa che nei perduti secoli
io sniffavo con garbo
quando ancora adolescente
impazzivo di inutile amore.
Ma comunque ho
compreso
ho perso la bussola e l’olfatto
e la mia casa fluttuante
naviga oltre l’orizzonte
ed è solo un’ombra imponente.
Maledizione!
È questo il mio primo pensiero
il nulla ovunque mi volti
e Cristo!
…io sono destinato all’oblio!
Au revoir mes amis…
N° 2586 - 26 luglio 2013
Il Custode
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