Quale e quanta solitudine
tra le mura silenziose
di questo triste convento
dove si respira ovunque
il soffio della tua presenza
ed ovunque incombe
l’immagine sofferente
di tuo figlio crocifisso.
Allora la mia fantasia vola
ed io mi vedo accanto a lui
a togliere con delicatezza
i chiodi dalle sue carni
per poi guarire le sue
ferite
con la dolcezza dei miei
baci
e carezzare tutta la sua
pelle
stringendolo al mio corpo
affamato.
Così, ecco che lui prende vita
e mi libera con decisione
della mia tonaca e le mie
remore
e mi manda in estasi
vederlo baciarmi i capezzoli
e come un bimbo impertinente
scendere ancora più in basso
fino alla fonte del mio
piacere.
E lui ci gioca, e la bacia
per prepararmi alla sublime
attesa
di quando sarà sopra di me
con un feroce istinto
animale
e lo sentirò al mio interno
ad ansimare il suo respiro
a farmi godere sotto i suoi
colpi
fino a condurmi all’orgasmo.
Ma quando il sogno svanisce
rimango smarrita ai suoi
piedi
incatenata dal senso di
colpa
a pregare il tuo conforto
e dunque ti chiedo perdono
se troppo spesso rammento
che prima di essere una
monaca
sono pur sempre una donna.
N° 988 - 13 febbraio 2008
Il Custode
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