in quella notte limpida
colorata di primavera e di
calore
e nella pace, sulla veranda
osservava il fumo candido
che si alzava dalla sua
sigaretta
e correva a baciare il cielo
e correva per fare l’amore
con le nuvole disegnate
lontano.
Il giudice aveva un sogno
che coltivava dentro l’anima
puntando il filo
dell’orizzonte
mentre l’aria profumava di
limone
intanto che l’aria odorava
di ulivo
ed ovunque le cicale
cantavano
consentendo ai grilli
impazienti
di ascoltarle in maniera
pacata
senza contraddirle mai.
Il giudice vedeva la mafia
appestare le terre di
Sicilia
e come erba cattiva e
velenosa
si illuse di poterla
debellare
affondarla nel mare
increspato dal vento
o con il vento guardarla
svanire
volteggiare per il saluto
dell’addio
e smarrire per sempre la
strada
e non saper ritornare mai
più.
Il giudice salì l’autostrada
mentre il sole di maggio
salutava i campi
e la morte arrivò che
nemmeno la vide
tra il silenzio delle case di
Capaci
frantumato dall’esplosivo
invadente
e lui, fragile come fosse
stato cristallo
si addormentò nel cratere
che non era la luna
tra le luci dei soccorsi che
non erano le stelle
ed il sogno incatenato al
suo ultimo respiro.
N° 1023 - 27 marzo 2008
Il Custode
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