Frattanto
scosto il lenzuolo
posato sopra il divano
sicché la mia ombra si desta
trafitta da un solco di vento
che filtra dai vetri opachi
e le rughe delle ragnatele.
Ascolto quel
lieve spiffero
che si insinua come un pensiero
dalla toppa della finestra
e vola quasi fosse una falena
nel cielo della mia stanza
dopo muore impattando le tende.
Sopra il
tavolo impolverato
la mia lacrima sotto il ditale
una pozza che brilla violenta
crea un alone verso il soffitto
e salta testardo, il gatto
incontro allo spiraglio di luce.
Amore che
sembravi scontato
tanto che io persi il conto
dei sogni che ti raccontai
allora origliai dietro la porta
il rumore dei tuoi passi svelti
erano i passi di chi si allontana.
Appeso al mio
appendiabiti
la giacca di pece e di porpora
non vi era più un solo bottone
poiché io li avevo staccati
per seminarli lungo il sentiero
e ritrovarti nella penombra.
Ed il cane
dormiva apatico
cullato dall’ululato sui monti
o forse non era che il lamento
che diceva una banshee disperata
aveva perduto l’unico figlio
e con esso l’intera sua vita.
Il calendario
segnava novembre
eppure il mio cuore bruciava
mentre osservavo l’immagine
soffocata dalla fuliggine
e sotto si intravvedeva il tuo viso
ed in esso la mia afflizione.
E qualcuno,
oltre la parete
bisbigliava parole sconnesse
io, nella camera dei segreti
non dissi a nessuno di te
ma ti piansi con molto garbo
fino ai giorni della mia dipartita.
N° 2309 - 13 novembre 2012
Il Custode
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