Ho chiamato il
tuo nome
così a lungo ed invano
che la voce mi è implosa
ed è svanita nel buio
io, con la vista di gatto
ho sondato le tenebre
per ricomporne i frammenti
e poterti ancora chiamare.
Dopo,
aggrappato alla eco
ho volato dentro la notte
incontro ad un vento insolente
che contrastava i miei passi
ma la passione incosciente
copiata da un vecchio romanzo
più robusta dell’uragano
era il mio scudo, la mia armatura.
E pareva un
suono dolcissimo
il graffio umido della risacca
sicché la luna, estasiata
mi ascoltava implorare
io, come una stella cadente
ho tranciato il cielo a metà
tra le labbra, il tuo nome
era la mia terra promessa.
Ho chiamato
con perseveranza
quasi io fossi uno stupido
finché la mia voce, esausta
si è tramutata in lamento
oltre la notte e l’amore
mi sono adagiato sui sogni
per poi comprendere, alfine
che il tuo nome era un falso.
N° 2622 - 28 agosto 2013
Il Custode
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