le acque vennero solcate
dal soffio di un placido vento
che portava alle coste
flotte di galeoni spagnoli
le cui chiglia uncinate
tagliavano il mare a metà.
Ritto sopra la
plancia
il condottiero scrutava
dove le Ande sfioravano
i confini del cielo lontano
e scintillava una luce
creata dalle pietre preziose
o forse non era che il sole.
In cima alla
rupe più alta
l’inca contò ogni vascello
dopo lesse le pietre e le ossa
e conobbe il proprio destino
la fine oramai prossima
della sua civiltà antica
in balìa dell’esercito cristiano.
Conchiglie e
stelle marine
sparse sopra la sabbia
ed un corteo di belle fanciulle
accolsero quei conquistatori
la finzione dei convenevoli
di chi era pronto ad uccidere
di chi era pronto a morire.
Nascosti come
giaguari
nell’ombra della foresta pluviale
i guerrieri indigeni attendevano
un cenno che non giunse mai
per trucidare l’invasore
prima che fosse in grado di varcare
le mura lucenti dell’Eldorado.
E poi arrivò
quella notte
del tuono pesante degli archibugi
e le spade che scesero sugli arti
a dilaniare anziani e bambini
e nella pazzia della disperazione
il ministro del culto selvatico
tentò di fermare il massacro.
Imponente
innanzi al nemico
sollevò le braccia agli astri
<<Uccidimi…>> Disse al soldato
<<…e il mio sangue salirà come oceano
a travolgere tutti i tuoi uomini
e tu vedrai questa mia vita
inghiottire l’intera tua vita…>>
Ma sotto una
luna distratta
tacquero i condor e le alpaca
si udirono soltanto i lamenti
dei moribondi stesi al suolo
ed ebbri di vino e di eccitazione
gli sterminatori cantavano
celebrando la loro vittoria.
Infine,
stivate le navi
partirono verso l’orizzonte
la carneficina era compiuta
ma la rotta era stata tracciata
per tornare come padroni
a razziare ogni singola pietra
di quella città costruita di oro.
N° 2051 - 13 aprile 2012
Il Custode
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