Le tue mani,
padre
sono pietre appuntite
e scendono con forza
sul mio viso tumefatto
tu colpisci con violenza
il mio sangue ti inebria
ti fa sentire onnipotente
avermi alla tua mercé.
Io ti imploro
tra singhiozzi e sospiri
però tu non mi senti
oramai sei fuori controllo
la mia carne giovane
si sfalda sotto i tuoi colpi
e tu continui a punirmi
per chissà quale colpa.
Sono qui,
padre
penitente dinnanzi a te
sono il frutto del tuo seme
dell’amore che hai coltivato
tu davvero non rammenti
d’essere stato un bambino
sembri sconvolto a tal punto
da volermi vedere morire.
Io ti supplico
con tutte quelle parole
che non credevo conoscere
che non sapevo esistessero
le mie lacrime si frantumano
tonfi secchi sul pavimento
tu osservale e dopo dimmi
di quante ancora hai bisogno.
Dunque
perdonami, padre
un reato che non ho commesso
se non dentro la tua mente
di improvvisato carnefice
io posso soltanto attendere
che la tua furia si plachi
fino alla prossima volta
in cui penserai d’essere Dio.
N° 2225 - 7 settembre 2012
Il Custode
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