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martedì 19 novembre 2013

CAPORETTO

Intanto l’alba si destava
dentro il freddo di ottobre
dipinto di fumo e di vapore
delle pianure dell’Isonzo
le pozze di sangue brillavano
come la rugiada sull’erba
illuminavano gli occhi malvagi
delle belve ferme nell’ombra.

Sul fondo delle trincee
noi aspettammo il momento
ma quel momento tanto atteso
arrivò quasi inaspettato
mentre l’attempato generale
fumava l’ennesimo sigaro
dopo raccattava ogni frammento
e le spoglie della nostra bandiera.

Sembrò essere lo strazio dei corvi
il grido che lacerò il cielo
quando il nemico scattò in piedi
calpestando cespugli e cicale
un’orda urlante e famelica
diretta verso le nostre vite
come se divorarle all’istante
ne avrebbe saziato odio e fame.

Noi capimmo, e fu troppo tardi
mentre le granate esplodevano
i brandelli di carne si appuntavano
come more sopra il filo spinato
noi ci alzammo per pura inerzia
con le baionette e con la paura
a contrastare quell’onda violenta
che infrangeva i nostri argini.

Sotto il tiro dell’artiglieria
gli austro-ungarici volavano
cadevano e si frantumavano
ma non avemmo tempo per gioire
i corpi dilaniati ed oramai schegge
scendevano come fiocchi di neve
e concimavano i campi
di gemme di morte e di dolore.

E nel mezzo di quella disfida
incrociai quegli occhi chiari
del soldato che pareva un bambino
adagiato sul fondo del cratere
lo sguardo supplicante pietà
vagava a cercare i propri arti
ed io affondai la baionetta
fino a fare implodere il suo cuore.

Ma l’impeto dei nostri antagonisti
divenne massiccio ed inarrestabile
costringendoci ad una fuga confusa
oltre la barriera del Piave
alla rinfusa come selvaggina
che cerca un rifugio e la salvezza
distante dal lezzo e dalla mattanza
respirati tra le valli a Caporetto.

  N° 2372 - 11 gennaio 2013

                                                    Il Custode

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