nella cesta
e tra il sangue
mentre cala l’ascia
a spezzar vite malvagie
che tremano di terrore
davanti alla consapevolezza
d’abbandonar l’esistenza.
Ed io, sul patibolo
col cappuccio sul volto
ed i bicipiti ben torniti
sono il boia onnipotente
padrone del loro destino
luce di pietà che scema
prevaricata dal mio
desiderio
di precludere loro il
futuro.
Ma quale dio irascibile
mi sento infastidito
nel leggere la morbosità
del pubblico festante
giunto a goder, nella piazza
dello spettacolo della morte
ch’io solo posso dispensare
quale artista dell’orrore.
E riposti i ferri del mestiere
io torno all’oblio
nell’attesa spasmodica
della prossima esecuzione
fonte di adrenalinico
piacere
ad osservare l’ultimo
sguardo
del condannato di turno
di una supplica muta e vana.
N° 1172 - 23 luglio 2008
Il Custode
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