stretta al mio petto
e le tue lacrime
come gocce di acido
scavavano la mia pelle
ed oltre ancora
dentro le mie vene
ad infettare il sangue
della malattia del dolore
il germe della disperazione.
Ma già allora
profumavi di rimpianto
il profilo sbiadito
da tramutare in ricordo
mentre io mi ergevo
in bilico sulla rupe
della codardia della vita
il riflesso della rinascita
che si alzava imponente
e mi occludeva il tuo sguardo.
Adesso ti
penso
come si pensa ad un sogno
appoggiato alla notte
ed ha lasciato una scia
di confusa magia
e guarisce il dolore
soccombe la disperazione
e tu diventi un’ombra
come non fossi mai
accaduta davvero.
N° 1840 - 17 giugno 2011
Il Custode
Nessun commento:
Posta un commento