parole rubate allo stagno incantato
e lo fece con una tale veemenza
che tramutarono in gocce di brezza
e dirette verso la fata di ghiaccio
ne scompigliarono capelli e pensieri.
Dal lieve
pertugio sulle sue labbra
mosse qualcosa simile ad un bacio
che raccolto da una libellula
volò in circolo come un mulinello
fino a quando non ne fu esausto
e riposò sulle gelide gote di lei.
S’arrampicavano
l’edera e i rovi
e sopra di essi, formiche guerriere
il loro scudo a forma di cuore
proteggeva il cuore della bella fatina
allora il folletto si sentiva tranquillo
ed ogni giorno sempre più innamorato.
E passavano i
secoli e con essi la luna
che sbuffava impaziente e indisponente
quando, sperduta dentro la notte
smarriva la strada verso i suoi occhi
e lei, imprigionata da un sortilegio
non poteva nemmeno guardare le stelle.
Sicché il
folletto, per noia e talento
compose poesie per la gelida donna
gliele leggeva ed intanto arrossiva
sotto lo sguardo di lucciole e grilli
le une romantiche quanto le rose
gli altri in attesa di un finale struggente.
All’improvviso
e squarciando le nuvole
la strega giunse a cavallo di un drago
e mormorando una nenia improbabile
destò la fatina, folle di gioia il folletto
si allontanò con un inchino e un sorriso
il suo incantesimo era stato un dispetto.
Pianse la
brina per la commozione
gli scoiattoli recarono ceste di doni
<<Che storia!>>, Pensò madama la quercia
mentre i due si sfioravano i visi
sicché la fatina ritornò alla vita
ed il folletto poteva amarla davvero.
N° 2524 - 29 maggio 2013
Il Custode