Mormorò
sbuffando il Piave
verso l’italica brezza
che lo straniero passò
alfine invase le sue terre
e si insinuò la miseria
tra la stirpe d’Italia.
Zingari e mori
incivili
scesero che parvero vandali
pronti a salire sul trono
delle italiche rovine
con la connivenza colpevole
dei prelati e dei politicanti.
Dilagante si
fece il crimine
che le carceri ebbero a implodere
e la memoria di antichi fanti
venne ricoperta di melma
la stessa che sbarcava costante
sopra le italiche coste.
Sicché, come
germe maligno
infettò i figli della penisola
con la libido della violenza
l’egoismo della prevaricazione
e tra le italiche macerie
venne sepolta la compassione.
Maleodoranti
orde di disperati
al soldo della malavita
per le italiche strade
a commettere delitti e soprusi
poiché la giustizia assai iniqua
non li volle mai contrastare.
Sotto
l’italico cielo
tra lacrime di pioggia acida
l’invasore dettò le sue regole
l’indigeno dovette soccombere
e mormorò affranto il Piave:
“Questa non è più la mia Patria…”
N° 2642 - 17 settembre 2013
Il Custode
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