Ho voluto
scostare quel velo
che posava sulla tua anima
ed io, adesso, sono perduto
io, adesso, mi sento dannato
poiché osservo parole nuove
dopo sorrisi che mi disgustano.
Con la malta
impastata di sangue
copro il buco nel mio muro
è da là che io ti vedevo
da là giungeva il tuo profumo
e si impiglia una mia lacrima
sopra l’ultimo spiffero d’aria.
Eppure arriva
ancora un bisbiglio
come la goccia dal rubinetto
quel fastidio che desta chi dorme
l’ossessione che reca pazzia
con le mani mi tappo le orecchie
liberando così la mia vista.
I miei occhi
percorrono il buio
da qualche parte c’è la tua ombra
forse se io aprissi le tende
quale incubo tu svaniresti
però io potrei morire di luce
io potrei morire di dolore.
E mi acquatto
alla parete
supino come chi teme il vento
nudo come chi non ha più nulla
se non il desiderio di averti ancora
ed attendo di sentire la tua voce
come se io aspettassi la condanna.
Frattanto
scalcio i miei ricordi
le immagini che vedo nella mente
ho bruciato ogni tua cosa
ma una cosa resta sulla mia mano
e mi accorgo si tratta del tuo velo
come potrei, dunque, scordarti?
N° 2313 - 15 novembre 2012
Il Custode
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