Pungevano e
ferivano
le spine nei tuoi occhi
io abbassavo lo sguardo
quasi a cercare riparo
ma mi trovavano sempre
e sempre facevano male.
Allora io ho
generato
lacrime simili ad onde
a spazzare le spine lontano
ma come cattiva gramigna
ricrescevano più rigogliose
s’arrampicavano al mio cuore.
E con un
soffio d’inferno
ho creato altissime fiamme
le ho viste mutare in cenere
ma dopo, come con la fenice
dalla cenere sono risorte
solchi profondi nell’anima.
Fu allora che
io mi arresi
pensai un dolore violento
e però di breve durata
e nudo come chi nasce
io ti ho offerto il mio petto
oramai stanco come chi muore.
Il tuo veleno
si è sparso
io non lo avevo preventivato
pensai a tagli e cicatrici
che sarebbero presto guariti
invece muoio nel silenzio
e non ho compreso il perché.
N° 2087 - 15 maggio 2012
Il Custode
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