L’inverno del
tuo sorriso
è una ferita sempre aperta
una supplica rivolta al sole
affinché ritorni a brillare
ma in quella sera d’agosto
la luna faceva dolci moine
e adularti le divenne facile
condurti all’oblio fu solo un istante.
E nel nucleo
di quell’estate
io cercai di trovare preghiere
parole e lacrime che indugiavano
quasi temessero di cadere
ma al contatto dell’aria tiepida
diventavano fiocchi di neve
solchi profondi dalla tua morte
che la mia anima sanguina ancora.
Allora
raccolsi a me le formiche
sedute in cerchio come bambine
per raccontargli ogni tuo giorno
ogni ricordo che ricordo ancora
vennero falchi e poi pipistrelli
ma io cercavo soltanto il tuo viso
si chiuse il sipario nell’ospedale
si spense la luce del tuo pensiero.
Preti e
beghine come esattori
a reclamare un funerale cattolico
o Manuel, avresti dovuto vederli
quando mi videro come fossi il demonio
poi riposai seduto sulla tua urna
a ridere isterico simile ad un folle
ed ogni risata impattava lo zinco
si mescolava con le tue ceneri.
Ma fu la pena
per una fatina
a darmi la forza di vivere ancora
o forse non era che distrazione
se non rammentai che volevo morire
e adesso ritorno a quella collina
stupido e disilluso come chi beve
e attendo seduto come un moribondo
che il vento riporti a me la tua vita.
N° 1938 - 25 gennaio 2012
Il Custode
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