Avevo una
patria
che profumava di buono
dalle colline alle coste
edificata attraverso i secoli
con il sangue e con il sudore
di chi mi precedette.
Abitavo la mia
casa
e dalla finestra osservavo
il sole che esausto scendeva
e si adagiava sul mare
creando scintille scarlatte
sulla cute di ogni onda.
Pensavo
progetti e speranze
ma se guardavo distante
vedevo ancora il futuro
e con la fierezza negli occhi
sapevo per cosa combattere
chi uccidere o per chi morire.
Però infine
loro arrivarono
stipati sopra fatiscenti barconi
qualcuno li chiamò migranti
in fuga da guerre e miseria
quelle che mai contrastarono
quelle alle quali non si opposero.
Io li giudicai
per quello che erano
invasori opportunisti e bugiardi
che con la complicità dei politici
depredarono ciò che volevano
il lavoro, le terre ed i sogni
il mio orgoglio di essere italico.
Avevo una
patria
costruita dagli antichi liguri
tra gli ulivi ed i pini marittimi
le terrazze di pietra ed argilla
rubate e consegnate in ostaggio
a chiunque ma non agli indigeni.
E mi adiro
mentre mi incammino all’esilio
sul filo sottile dell’oblio
a rimpiangere la mia cultura
e non so più che lingua parlare
adesso che sono un apolide.
N° 2675 - 22 ottobre 2013
Il Custode
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