Si respirava
ovunque
impregnava le pareti
quell’odore stantio
della disperazione
la muffa dall’anima
in una pozza di lacrime.
Nella sua
oscura camera
lievi capricci di luce
tentavano di entrare
dai minuscoli pertugi
lasciati dalle veneziane
le ultime difese dal mondo.
Il mio
sguardo, in un attimo
scivolò a cercare
l’ombra della sua ombra
ch’era oramai fumo
ologramma evanescente
d’una serenità alla deriva.
Nell’angolo
più distante
solo un leggero lamento
il battito sordo
del suo cuore ferito
da secoli di solitudine
da eoni di prevaricazione.
La mia mano,
in un istante
planò a sfiorare
i suoi capelli e le gote
parvenza d’amore meditato
e le parole sussurrate
divenivano suppliche confuse.
Un fantasma di
tenebra
che pareva pregasse
un’esistenza più docile
che io tentavo di tatuare
sul suo bellissimo viso
dentro i suoi occhi spenti.
Fra le mie
braccia
perché ascoltasse il respiro
che diceva le mie labbra
e non si sentisse più sola
in balìa del suo dolore
nella sua oscura camera.
N° 2057 - 18 aprile 2012
Il Custode
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