li ho perduti ai dadi
in una notte capricciosa
ed il dolore e l’amore
svanivano dentro la nebbia
come fossero la eco
di un artiglio che graffiava
un cuore che non sanguinava.
La luna
aggrappata alla notte
per non essere trascinata dal vento
io non sentivo il tonfo pesante
delle lacrime nelle tue pupille
che rimbalzavano come scintille
pronte a stanare i miei occhi.
Ho scritto
delle parole astratte
copiate da un antico tomo
l’ho smarrito nella mia soffitta
tra la polvere e le ragnatele.
Sicché dopo
arrivò il fuoco
le fiamme che erano ingorde
si nutrirono dei miei rimorsi
nella mia anima restò il nulla.
Ti guardavo ed
ero cieco
il tuo lamento era una nenia
che io, con le cuffie alle orecchie
lasciavo che rimbombasse
dentro ogni singolo neurone
del mio cervello ridotto in poltiglia.
Piegato come
fossi un giunco
io restavo sulle mie ginocchia
e pensavo se dovevo soffrire
per qualcosa che non comprendevo
forse le mille spine ingoiate
mi avevano bloccato il respiro
sicché avrei voluto parlare
ma la bocca sputava il mio sangue.
N° 2762 - 5 maggio 2014
Il Custode
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