Sulla banchina
del molo
l’intera corte di Spagna
a salutare l’impresa
ch’io vado a cominciare
ora che mi appresto a salpare
diretto alle Indie lontane.
La donna quale
polena
magnifica e diritta di prora
mi indica la rotta migliore
sul sentiero di questo oceano
con la bussola e i calcoli spesi
tracciati nelle notti di veglia.
Ammiraglio
quasi per caso
figlio della potente Superba
però Genova mi fu matrigna
ed altrove io sfido la sorte
sarà la Regina a godere
del frutto delle mie conquiste.
Il vento è mio
compagno
e gonfia con forza le vele
dopo spinge le mie caravelle
sopra la distesa del mare
non v’è terra all’orizzonte
soltanto cielo alle mie spalle.
La ciurma è
inquieta ed esausta
ora che scarseggiano i viveri
dove sarà mai il mio approdo?
Io lo cerco di poppa e a babordo
sperando di scrutare la spiaggia
di sabbia, di oro e di seta.
Ed ecco,
ordunque, le coste!
Gli indigeni ci si fanno incontro
indossano fiori e gemme e gioielli
e lo sguardo di persone miti
questo posto è meraviglioso
un paradiso di alberi e frutti.
Queste persone
ci nutrono
ci trattano come delle divinità
eppure ai falò della sera
gli occhi dei miei marinai
brillano la luce malvagia
dell’avidità e dell’ingratitudine.
Passano sornioni
i giorni
nella quiete di questo villaggio
noi adesso stiviamo le navi
di ogni ricchezza possibile
ne faremo dono e tributo
da recare ai palazzi del regno.
…E gli anni sono trascorsi
dopo che al mio ritorno
fui accolto da conquistatore
festeggiato con tutti gli onori
ma, ahimè, la gloria è volubile
ciò che concesse ebbe presto a finire.
Adesso dentro
la mia dimora
e nella miseria più nera
attendo che giunga la fine
in balìa del rimorso opprimente
di essere stato l’artefice
di un genocidio terribile.
N° 2701 - 23 dicembre 2013
Il Custode
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