che non paga ma appaga…”
e mentre lui lo diceva
gustava il sangue caldo
che dalla punta del pugnale
scivolava sulla sua lingua.
La vittima
stesa al suolo
ancora rantolava
lui ascoltava quei lamenti
quasi che fossero melodia
dita leggere sulle corde dell’arpa
unghie a graffiare l’ardesia.
E dondolava il
pendolo
sulla parete e nella penombra
un ticchettio sincopato
che era una eco fastidiosa
come gocce d’acqua che colpivano
dispettose nella sua mente.
Ed egli aveva
visioni
rapidi lampi dentro gli occhi
la vittima posata sul pavimento
ancora agonizzava
lei implorava e non capiva
che la pietà era oramai tardiva.
E si
arrampicava un ragno
sulla pelle che stava gelando
era sceso giù dalla sua tela
solamente per la curiosità
egli lo ha schiacciato con rabbia
il corpo di lei gli apparteneva.
Frattanto
filtrava una luce
dai vetri della sua veranda
il bacio di una docile luna
accarezzava con molto garbo
le pupille della ragazza
ferme all’ultimo istante di vita.
Annaspavano le
formiche
dentro il rivolo rosso rubino
che diventava ruscello impetuoso
ma con i rebbi di una forchetta
lui le raccolse una ad una
riportandole alla terra ferma.
“Credo nel delitto
che non paga ma inebria…”
e mentre lui lo affermava
lei si incamminava all’oblio
tra il disappunto di quell’uomo
ed il rammarico delle falene.
N° 2754 - 23 aprile 2014
Il Custode