lacrime simili a chicchi di grano
che impattarono tolda e cambusa
della mia barchetta di carta
ed io, aggrappato alla polena
affondavo recitando poesie
dentro l’oceano tempestoso
del tuo sconfinato dolore.
Il sangue dai
tuoi polsi
era un incubo che mi fustigava
cerchi concentrici sul pavimento
scivolarono con un rigagnolo
tra le fughe delle mattonelle
e gli davano un tocco vintage.
Io non
rammento cosa dicesti
prima di tacere per sempre
avevo uno sguardo per ogni occasione
eppure quel giorno fu inaspettato
mi colpì mentre ero di spalle
ed io non seppi quale indossare.
Avevo un abito
di cartapesta
nero quanto la notte profonda
e fra le braccia il tuo respiro
come fosse secrezione di cimice
ed una spilla sopra il mio bavero
il sapore del tuo ultimo bacio
avevo un sorriso oramai sgualcito
nell’illusione di vederti tornare.
Di certo Dio
non mi garbava
infine scoprii di odiarlo davvero
con il suo volto da esteta del vizio
che recitava barzellette sconce.
Io,
d’improvviso, ti vidi piangere
acido in balìa della tramontana
che, oltrepassato il mio sterno
creò foibe dentro il mio cuore.
N° 2810 - 22 ottobre 2014
Il Custode
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