Il nibbio lo
disse alla falena
di non abbandonare la notte
e però lei aveva sentito storie
e leggende che tramutò in sogni.
Nel silenzio
raccolse il suo zaino
e lo riempì di polvere d’ali
era certa che le sarebbe servita
se avesse avuto pensieri felici.
L’aveva rubata
ai cadaveri
delle farfalle sdraiate sulle bacche
ma lasciò un petalo di rosa
posato accanto al capo di ognuna.
Non ascoltò i
rimbrotti della luna
né l’avvertimento del pipistrello
che certo la dissuadeva per la fame
o forse per astio verso la luce.
Da qualche
parte, oltre la foresta
le voci diventavano frastuono
ma la falena non seppe imparare
che quel posto era assai pericoloso.
Ma nel momento
esatto in cui si fermò
per la paura e per il ripensamento
incrociò il malvagio ghigno del vento
ed il vento la sollevò con forza.
Il suo volo fu
rapido e confuso
e in un baleno percorse le stagioni
in riva al mare, davanti alla risacca
il vento tacque e la lasciò cadere.
Ed un granchio
le rubò lo zaino
e con lo zaino, la polvere d’ali
sola ed accecata dal sole nascente
pianse lacrime che bucavano la sabbia.
Ma una bambina
venne e la sentì
e la raccolse piano fra le sue mani
disse: <<Sei bella, o triste falena
sei l’emblema delle tenebre distanti.>>
Nella sua
casa, in quella prigione
lei la rinchiuse dentro un’arbanella
ma la falena col tumulto nel cuore
pianse un solo giorno ed infine morì.
N° 2945 - 2 luglio 2015
Il Custode
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