Lo cercavo tra
i rovi
nella tregenda notturna
ed il bagliore dei lampi
era la mia luce guida.
E però, quella
luna
era bella e infingarda
nel giro di un solo istante
mi fermai a contemplarla.
Il sussurro di
un riccio
mi destò dal torpore
e tra le spine e le foglie
io annusai la mia vita.
Ed incespicai
sul sorriso
di una marmotta insolente
che mi tirava per la giacca
e pretendeva i miei baci.
Allora chiesi
ad un ragno
di aiutarmi a cercare
ma aveva ospiti a cena
ed ignorò la mia supplica.
Ma una falena
pettegola
mi raccontò che la cicala
lo
aveva visto tra i campi
dentro
un canale di scolo.
Cristo, quanto ero adirato!
Tanto
da imprecare
avevo
sprecato dei secoli
a
guardare il posto sbagliato.
Sicché sono salito sul dorso
di una
veloce libellula
sorvolando
montagne e colline
diretto
alla pianura distante.
La pioggia mi fustigava
o forse
si trattava di lacrime
qualunque
cosa che fossero
il loro
sapore era buono.
Disceso sui fili d’erba
domandai
alla prima gazza
la
strada che portava al salice
e dopo
il salice, il lago.
Ma il vento era assai forte
e
quello che lei mi rispose
io non
riuscii a sentirlo
allora
ripresi il cammino.
Con la mia bussola in mano
e l’ago
puntato sull’Est
io
affondavo nel fango
ma non
intendevo fermarmi.
Finché incrociai una talpa
col
muso sporco di sangue
e fra i
denti quel che restava
del
cuore che avevo smarrito.
Mi disse che fu per la fame
e non
era stagione di fragole
poi,
con un rapido inchino
si congedò
dalla mia vista.
Sconcertato e senza parole
sotto
il campanile in frantumi
osservai
il dirupo profondo
che si
ergeva oltre il mio sterno.
E feci spallucce all’aurora
mentre
il lupo mi rammentava
che
senza il bisogno d’amore
quel
cuore non mi serviva.
N° 2889 - 23 aprile 2015
Il Custode