“Raccontami ancora della marmotta
rapita dall’aquila del cielo immenso
imprigionata sulle vette innevate
da dove si vede l’intero mondo…”
Il manto
lucente di quell’animale
si confondeva sul fondo del nido
ed ogni volta che tornava l’aquila
la marmotta pensava che fosse la fine.
Ma c’era
qualcosa dentro lo sguardo
un rimorso struggente da stare male
sicché quel volatile sotto le piume
sentiva il suo cuore battere forte.
Era un dolore
assai sconvolgente
molto più freddo del lago in inverno
e la marmotta restava in silenzio
ad osservare i pensieri dell’aquila.
La primavera
tossì i suoi malanni
tanto che il sole si fece rovente
facendo sì che la neve sciogliesse
e come ruscello migrasse a valle.
Nel mentre il
tempo trascorreva
e la marmotta piangeva i ricordi
<<Io sono qui, ed invecchio da sola
e non rammento l’odore della pianura>>.
Dentro un
anfratto ascoltava l’aquila
si domandava come avrebbe reagito
rinchiusa distante dalle sue montagne
strappata ai luoghi da sempre amati.
Sicché ella
attese la notte profonda
allorché la marmotta, triste e rassegnata
si addormentò cominciando a sognare
le bacche e i mirtilli e le conifere.
L’aquila la
cinse fra le sue zampe
con delicatezza, come una madre
e si lasciò trasportare dal vento
oltre i monti e fino alla foresta.
…Ed una foglia di abete davvero insolente
destò la marmotta che ancora sognava
si guardò intorno felice ed incredula
poiché d’improvviso era di nuovo libera.
N° 2910 - 21 maggio 2015
Il Custode
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