con i piedi impregnati
di benzina e di sangue
ed il fiammifero
prossimo
a scottarmi le dita.
Ma se mai mi cadesse
sarebbe il vento a
decidere
la mia vita, la morte
io, in balìa delle
fiamme
oppure deluso al suolo.
E però adesso inciampo
col muso dentro la
polvere
ed i capelli
ingrigiscono
per l’età, per la
fuliggine
che la mia anima
inghiotte.
Dove sarà mai la fine
di questo sentiero
soffice
che annerisce la pelle?
Se io ritrovassi la
bussola
saprei la mia direzione.
Ma giro in tondo
nell’attesa del tuono
esso spaventerà i corvi
che mi rubano il pane
racchiuso nel mio
fazzoletto.
Pare un residuo d’inferno
questa coltre di ardesia
vomitata dalla notte tiepida
eppure fredda come il
dolore
come un bacio di luna.
Ma stramaledetta, la pioggia
che rende tutto
poltiglia!
Nel frattempo io affondo
in questa melma
argillosa
che penetra le mie
narici.
Comunque non è così
che intendevo morire
e siccome io sono ateo
non posso nemmeno
imprecare
oppure insultare
l’Iddio.
Non vedo più nulla
come se io fossi una
talpa
e sotto le zolle e le
radici
l’acqua ha un sapore
cattivo
di stagnante e di
metallo.
Sicché aspetterò qui
il respiro che si fa
muto
non sapendo chi ascolterebbe
il trambusto dei miei
pensieri
nell’oblio che reca
all’ignoto.
N° 3404 - 27 giugno 2018
Il Custode
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