Sicché lei
tornò alle tenebre
laddove si sentiva al sicuro
a ripensare il suo grande amore
e non rammentava chi fosse
il cocchiere seduto sulla carrozza
oppure il demone giunto dal mare.
Con la lira e
con la spada
componeva poemi, versava sangue
e dalle coste della Norvegia
osannava il Signore degli inferi
affinché lei, figlia di una tempesta
si potesse sempre nutrire di anime.
Modellata di
estrema bellezza
che pareva essere una maledizione
lei, una musa fragile e sola
non riusciva ad aprire il suo cuore
e passavano cavalieri e codardi
senza accorgersi di come lei fosse.
E però
scendeva con molta lena
la polvere dentro la sua clessidra
nessun ritratto alla Dorian Gray
la preservava dalla fuga del tempo
dentro il piccolo lembo di universo
lei piangeva lacrime, dispensava veleno.
Ogni tanto,
durante la notte
si accovacciava sopra il davanzale
ad attendere l’arrivo di un messaggero
un nero corvo o forse un pipistrello
che le recassero una missiva
dalla carrozza o magari dal mare.
Ma il suo
sguardo rimase ferito
deluso dai mille momenti trascorsi
fra le mani aveva soltanto ricordi
sulle labbra parole mai sussurrate
poiché non seppe a chi dedicarle
né capì mai chi doveva amare.
N° 2915 - 27 maggio 2015
Il Custode
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