Non sei che
una ruga profonda
che solca un cuore moribondo
dal quale scivola sangue scarlatto
che tramuta in antichi petali.
Ed i petali di
arida rosa rossa
incollati tra le pagine di un libro
sono tatuaggi, sono macchie indelebili
sono spine che scheggiano l’anima.
E l’anima
diventa tenebra
un viaggio a ritroso nel tempo
dove alle porte del medioevo
c’era ancora il desiderio d’amore.
Ma l’amore…oh
sì, quell’amore
io lo tenni stretto fra i denti
come un lupo io difesi la preda
dalla tua malsana debolezza.
Quella tua
debolezza fu complice
della fine annunciata da un villico
che raccolse la tua viola profumata
ferma e solitaria presso il canale.
Dentro il
canale gocce delle tue lacrime
si estendevano verso il fossato
io vi intingevo la mia penna d’oca
per inventare una nuova poesia.
Quella poesia
prese forma per caso
ogni volta che vedevo i tuoi occhi
ed aveva un sapore agrodolce
ed un gelo che io non pensavo.
Io non pensavo
nessun’altra parola
né un ideogramma da disegnare
sicché domandai alla pallida luna
quel tuo nome che non rammentavo.
Non rammentavo
che la tua pelle
che annusavo con disperazione
per liberarmi dall’odore acro
della rotaie e della nostalgia.
La nostalgia…e
non rimane altro
ciò che fu appartiene al passato
forse tu sei bruciata sul rogo
forse riposi nel lago di Ophelia.
N° 2914 - 26 maggio 2015
Il Custode
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