Striature di
docili tenebre
e la notte quale stupenda regina
se tu tornassi sulle mie labbra
l’intero silenzio sarebbe poesia.
Poiché amarti
fu fragile vetro
che scheggiò i tuoi deboli polsi
nel tuo sangue alcune gemme sbiadite
e l’inchiostro sfuggito al mio cuore.
Tu invocavi un
demone obeso
ed io, muto, ascoltavo il tuo canto
era una splendida litania funebre
di gregoriana ed antica memoria.
Sicché sognarti
fu tuono e tempesta
l’odissea di un gabbiano smarrito
la polena fatta di legno intarsiato
era il tuo viso come io lo ricordavo.
E però persino
il dolore amaro
lo ingurgitavo con una tale veemenza
che la gola pareva implodesse
in frammenti di stelle alla rinfusa.
Ma nel vaso
che fu di Pandora
l’uragano di pensieri distanti
mi rammenta che era davvero bellissimo
quando tu abitavi i miei occhi.
N° 3091 - 19 marzo 2016
Il Custode
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