Sto invocando il tuo
nome
in questa selva
intricata
da spine di polistirolo.
Non ti vedo
e però riesco a sentirti
tu sei nascosta nel buio
da dove continui a
deridermi.
Qual è il reato?
Quale il peccato
commesso
oltre all’averti delusa
fuggendo dalla tua
gabbia?
Oltre le siepi
in questo stupido eden
annuso la scia
pestilente
della rabbia che hai
seminato.
Subisco le ingiurie
delle lucciole e dei
coleotteri
ma la ferita peggiore
è quella del tuo
sorriso.
Vorrei umiliarti
magari perfino ucciderti
ma tu fosti l’intera mia
vita
come potrei darti la
morte?
Rispondi!
Te lo supplico da molti
secoli
ma tu sei testarda e
impietosa
quanto le persone aride.
Sento un fruscio
mi sporgo e non vedo
altro
che l’ombra severa e
assassina
del tuo amore che fu.
N° 3564 - 6 febbraio 2019
Il Custode
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