Ed alfine noi
arrivammo
e scendemmo sulla battigia
dinnanzi a noi piccoli esseri
a metà tra uomini e scimmie
ci sorridevano come gli stolti
ancora ignari del proprio destino.
Seguimmo la
rotta del genovese
sopra l’oceano spesso cattivo
noi, accecati delle pietre preziose
che egli recò con sé a corte
al suo ritorno dal lungo viaggio
verso le Indie ed oltre ancora.
Sopra i
pennoni dei galeoni
le bandiere di Spagna danzavano
e la discreta mano del vento
le carezzava con molta cura
e chissà mai se gli indigeni
compresero quel presagio di morte.
Nelle città di
oro e di gemme
gli adoratori del giaguaro e del sole
rifocillarono i nostri corpi
giacché provati dalla navigazione
ucciderli sarebbe stato assai facile
trucidarli tutti, sollazzo e necessità.
E così fu,
alla settima notte
che noi tradimmo la loro fiducia
e demmo inizio alla loro mattanza
la deportazione di futuri schiavi
le civiltà degli incas e gli aztechi
si incamminarono verso il tramonto.
Il potente
tuono degli archibugi
i dardi veloci delle balestre
nulla poterono i selvaggi nativi
contro la nostra sete di sangue
li sterminammo senza alcuna pietà
poiché la pietà non ci si addiceva.
<<Siamo venuti per servire Dio
per il Re e per la ricchezza!…>>
E tornammo con i vascelli carichi
e nuove terre per la Corona
seguendo la rotta del genovese
che fu la causa di un genocidio.
N° 3287 - 22 giugno 2017
Il Custode
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