Mi stancherò
di te
in una sera di lieve tramonto
come una falce sulla pianura
a tacitare il canto dei grilli.
Nell’attesa
del tuo dolore
ascolterò gracidare le rane
petulanti sopra lo stagno
sazie di sesso e lucciole in volo.
Ed ho l’odore
della primavera
sopra le dita e sotto le unghie
che, infilate dentro le mie narici
esplodono in un delirio di sangue.
Una moneta
lanciata nell’aria
e la fionda pronta a colpire
una gazza dal cuore brigante
in agguato per derubarmi.
Devo scegliere
se accettare
il perdono che mi vuoi negare
se lasciassi a te la decisione
sarei debole e senza destino.
Nel labirinto
della tua ira
come Teseo in balìa del Minotauro
i miei occhi saranno gatti sgarbati
insolenti nel voltarti le spalle.
Un macigno
rubato alla cava
e seppellirò il tuo rancore
prima che il mio ripensamento
mi tramuti ancora in un giullare.
Sicché mentre
tu parli io penso
e non sento i tuoi lamenti
ma sorrido come se io fossi folle
e preservo la mia libertà.
N° 3258 - 25 marzo 2017
Il Custode
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