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martedì 2 febbraio 2016

PICCOLA CANTINA DEGLI ORRORI

Mi ricordo ogni pensiero
che vedevo dentro il tuo sguardo
e mentre scendo nella cantina
io annuso ancora il tuo dolore
e l’odore del sangue raffermo
impastato al pavimento in cemento.

Come una falena nella mia trappola
tu ti agitavi, ma inutilmente
intanto i ragni, psicopatici guardoni
ti osservavano dalle loro tele
e non avevi alcun Dio da pregare
sicché non potevi che piangere.

Tu, appesa alla trave di legno
come un angelo sospeso nel cielo
mi imploravi di avere pietà
una utopia dolcissima e ingenua
perché mai avrei dovuto ascoltarti
quando non lo feci mai con nessuna?

La tua morte si rifletteva sul vetro
delle bottiglie di vino pregiato
e nella penombra della cantina
i tuoi occhi erano stupende gemme
talmente belli che la tua fine
l’avrei ricreata per infiniti istanti.

Adesso io uccido per sola inerzia
per riprovare quel momento magico
e però ripenso spesso al tuo viso
frattanto che cercava l’ultimo respiro
e divento triste poiché mai più nessuna
ha saputo morire come hai fatto tu.

  N° 3072 - 1 febbraio 2016

                                                   Il Custode

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