Sono nato
all’aurora
di un cielo plumbeo e curioso
laddove la notte abdicava
e si prostituiva alle onde
alle pietre del bagnasciuga
ancora dipinte dalla luna.
E l’estate
implose insolente
tra i monti a picco sul mare
io, nella mia anima oscura
piangevo un vagito sommesso
che impattava la sabbia umida
e disturbava i gabbiani assonnati.
La città si
svegliò, ed era nuda
con i gatti ancora intenti
ad ammiccare ai vecchi lampioni
e le strade di mattoni e di erba
scendevano dalla collina
nell’attesa di godersi il sole.
E però, quella
luce improvvisa
come un fanale nella mia vista
ferì i miei occhi scarlatti
modellati da un alchimista malato
sicché restare dentro il buio
fu una questione di sopravvivenza.
Imprigionato
in fondo alle tenebre
come sopra la tela del ragno
io rimango in un vicolo cieco
dentro il quale non entra nessuno
perché nessuno conosce davvero
il sentiero verso la mia follia.
Ma quando
singhiozza la pioggia
io mi specchio nelle pozzanghere
dopo bevo l’acqua che scivola
dalle foglie di marijuana
infine penso, ma non ho pensieri
e taccio, e mi godo il silenzio.
N° 3244 - 20 febbraio 2017
Il Custode
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